“Le belle addormentate”

“Le ho viste tutte, le mie belle addormentate. Le ho viste spegnersi lentamente, oppure già rassegnate, o anche orgogliose e vive dibattersi come pesci nella rete. L’Italia abbandonata è il rovescio della medaglia, una cartina turistica letta al contrario. Non è solo montagna, dissanguata dalla natalità zero e dall’emigrazione. È anche pianura, o persino isole. È l’Italia perduta, messa ai margini della storia, punita dalle istituzioni, occultata dai navigatori satellitari, non coperta dalla rete dei cellulari, ignorata dal Wi-Fi. Città e contrade senza più abitanti, di colpo svestite da chi le ha vissute, spesso per secoli. Perché a valle c’era più lavoro, o perché i vecchi non lasciavano eredi, ma soprattutto perché tutto frana, in questo povero fragile stivale. Terremoti, smottamenti, alluvioni, ma anche soltanto un po’ di pioggia. […] È di questo Belpaese estinto che voglio tornare a parlare, perché le città-fantasma sono tante cose: un saggetto antropologico, una bizzarra guida turistica, un cahier de doleances, un atto d’amore.”

Con queste parole Antonio Mocciola, giornalista e narratore di origine lucana, introduce il suo ultimo volume, “Le Belle Addormentate” (Betelgeuse Editore). Un testo splendidamente illustrato nel quale si incontrano geografia e poesia: la geografia di una parte del nostro Paese ferito, abbandonato e da tanti già dimenticato; la poesia di una scrittura capace di squarciare il buio e il silenzio che avvolgono tutti quei borghi che, dalle Alpi alla Sicilia, per ragioni diverse, “non sono riusciti ad affacciarsi nel nuovo millennio”.

Un lungo e suggestivo viaggio attraverso circa ottanta “belle addormentate che aspettano da anni, da decenni, il bacio che le risvegli”, e che fa tappa anche in Basilicata: a Campomaggiore vecchio, “il paese dell’utopia sociale”, ad Alianello vecchio, dove “Cristo si è fermato ancora”, a Craco, il deserto che “diventa un film”, e a Maratea Castello, la “Maratea che non amava il mare”.

“Le Belle Addormentate”: un affascinante viaggio “nei silenzi apparenti delle città fantasma”. Ci racconta come è nato questo progetto di riscoperta di un’Italia dimenticata?

«Il progetto è nato dal fatto che mi interessava sondare un’area di mercato intatta. Ho scoperto che mancava, in libreria, una guida sui paesi fantasma. Sulle città abbandonate. Da anni sono un viaggiatore italiano curioso e “dispettoso”, nel senso che non mi accontento delle solite mete. E ho pensato di comporre un libro “estremo”, per viaggiatori, non per turisti. C’è una bella differenza…».

Quando tempo fa è iniziato il suo viaggio per l’Italia alla ricerca delle “Belle Addormentate” e come si è sviluppato nel tempo: questi suoi viaggi attraverso “l’Italia perduta” sono stati sempre preceduti da un’attenta fase di ricerca o è capitato anche di imbattersi per caso in queste “Belle addormentate”?

«Circa dieci anni fa ho cominciato a fare uscire a puntate alcuni articoli sui paesi estinti, poi raccolti in una piccola guida, uscita nel 2010. Nel frattempo, ho continuato ad esplorare, instancabilmente. E mi sono aggiornato. Non mi sono più “imbattuto” in questi paesi, me li sono andati proprio a cercare. Ed è stato ancora più difficile. Non immaginavo fossero tanti, uno più bello dell’altro. Ho ricercato in rete, sui miei numerosi libri, e anche per passaparola. Delle pochissime persone che incontravo…».

Cosa c’è all’origine dell’urgenza e del desiderio di raccontare i paesi che non sono riusciti ad “affacciarsi nel nuovo millennio”?

«La paura che diventino sempre di più. Un piccolo libro non può frenare l’emorragia che sta svuotando le nostre valli, i nostri monti. Ma può far scattare un allarme. Noi giornalisti e scrittori abbiamo un’unica arma, la parola. Che a volte, si sa, può colpire come una freccia. Sulle strade ci sono più segnali di aziende private che di nomi di frazioni o di vette o di fiumi. Le carte geografiche sembrano pagine gialle. Tristezza profonda per il disamore verso il nostro paese….».

Ha incontrato difficoltà nel raggruppare tutti questi fantastici e struggenti luoghi in un volume? Si è servito di un criterio di selezione particolare?

«Ho cercato storie che in qualche modo non si assomigliassero tra di loro. E in effetti ogni bella addormentata ha la sua favola triste da raccontare. Ognuna attende il principe azzurro che ne spezzi l’incantesimo. Ho inoltre voluto rappresentare tutte e venti le regioni italiane, anche se è chiaro lo squilibrio verso sud. Purtroppo per me, che sono lucano di famiglia (Anzi-Pz) e napoletano di nascita».

Ripopolare un borgo abbandonato non è impossibile ma non è certo semplice. Impegnarsi in opere di restauro potrebbe essere un inizio ma i costi sono altissimi e così alle mancanze dello Stato possono sopperire soltanto iniziative private. Secondo lei, questo disinteresse è attribuibile alle reali difficoltà economiche del Paese, ad una mancanza di sensibilità storico-artistica…

«La seconda trascina la prima, in un abbraccio mortale. È vero, siamo un paese povero, ma in tutti i sensi. Se penso a certi milioni dilapidati per inutili superstrade nel deserto, o l’idea del ponte sullo Stretto di Messina… I privati sono l’unica chance reale, come dimostra la favola a lieto fine di Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, strappata alla morte da un coraggioso imprenditore di origine scandinava che ne ha fatto un albergo diffuso. Nel 500 Calabria e Lucania hanno visto ripopolati molti centri che erano abbandonati da decenni, grazie alle popolazioni arbereshe, che tuttora mantengono culto e usi albanesi. Oggi, non sappiamo dove mettere gli immigrati….».

Dalla lettura del suo libro è impossibile capire quale, tra i circa ottanta paesi che ha visitato, occupi un posto particolare nel cuore dell’autore. Per lei sono davvero tutte uguali queste “belle addormentate” o tra loro ce n’è qualcuna speciale?

«Beh, è chiaro che alcune sono più affascinanti, leggasi Craco o Civita di Bagnoregio, peraltro assai note adesso. Amo Apice, nel Sannio, ma anche Pentedattilo o Roghudi, in Aspromonte. E Romagnano al Monte, il primo che visitai, nel lontano 2002… Per non parlare di Curon Venosta, in Alto Adige, che giace sotto un lago ma emerge ancora con il suo campanile dalle acque. Come non rimanerne stregati?».

Chi è il lettore ideale del suo libro: il viaggiatore che non si accontenta dei soliti itinerari; l’artista alla ricerca di luoghi che suscitano forti emozioni; il rappresentante delle Istituzioni poco sensibile alla Bellezza, all’Arte, alla Storia del nostro Paese?

«Il lettore ideale non esiste, come non esiste lo scrittore ideale. Ma vorrei che questo libro facesse accendere l’interruttore che abbiamo dentro, e che abbiamo spento come le nostre città morte. Un senso di appartenenza, di solitudine da amare e da risolvere, di rinascita e riscoperta. Le belle addormentate riposano in noi, siamo noi gli unici principi che sappiamo come, quando e dove risvegliarle».

 

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